
«Il dialogo è necessario, ma deve avere regole» — intervista a Sua Beatitudine Sviatoslav al quotidiano Domani
In una lunga intervista al quotidiano Domani, Capo e Padre della Chiesa greco-cattolica ucraina, Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, ha ribadito che ogni dialogo o negoziato deve basarsi sul diritto internazionale. Ha parlato della posizione della Russia, del ruolo del Patriarca Ecumenico Bartolomeo, del suo rapporto personale con Papa Francesco e dei risultati della missione del S. Em. il Card. Matteo Zuppi
«Io sono convinto che il dialogo è necessario perché l’alternativa allo scontro armato è sempre il dialogo, ma il dialogo deve avere deve essere fondato sulle regole e queste regole devono essere tratte dal diritto internazionale».
Si esprime in questi termini l’Arcivescovo Maggiore di Kyiv-Halych della Chiesa greco-cattolica ucraina Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, che ha spiegato a Domani la posizione della sua Chiesa e più in generale dell’Ucraina rispetto al conflitto in corso con la Russia. Nel frattempo nella capitale ucraina si svolgeva il vertice dei volenterosi per decidere come aiutare il paese nel conflitto in corso. Del nuovo Papa, è piaciuta l’espressione usata nel suo primo discorso, quando ha parlato di «una pace disarmata e una pace disarmante», che secondo l’arcivescovo deve essere anche una «pace giusta».
«Speriamo che Papa Leone XIV, possa fare come Leone magno, che uscì da Roma a cavallo, completamente disarmato e andò incontro ad Attila, il capo degli Unni, ci parlò e riuscì a fermarlo, nessuno sa cosa si sono detti. C’è uno splendido affresco di Raffaello, il mio artista preferito, nei musei vaticani, che ritrae la scena». A fine giugno, poi, in Vaticano si terrà il sinodo di tutti i vescovi greco-cattolici dell’Ucraina e sarà quello un buon momento di confronto con il nuovo pontefice.
Beatitudine, a che condizioni è possibile parlare di pace, di negoziati con la Russia di Putin?
In primo luogo va detto che se il dialogo o anche le trattative non rispettano il diritto internazionale, sono prive di ogni tipo di fondamento. Seconda considerazione: la Russia non vuole fermare la guerra. E sta usando anche la diplomazia per coprire questa mancanza di volontà. Ovviamente vuole mettere la colpa sulle spalle degli altri, soprattutto dell’Ucraina. Cioè in questo momento non vediamo, non percepiamo, nessuna volontà di fermare l’avanzata militare da parte della Russia.
Ogni volta che Mosca proclama una tregua, come hanno fatto in questi giorni, quando si commemorava l’ottantesimo anniversario della fine della seconda guerra mondiale, non hanno mai smesso di bombardarci. Perciò diciamo che per concludere la guerra in Ucraina la formula è molto semplice: se la Russia smette di attaccarci finirà la guerra, se l’Ucraina smetterà di difendersi, finirà l’Ucraina.
Il rapporto con Papa Francesco come è stato?
Con Francesco ci siamo conosciuti quando andai a Buenos Aires come vescovo della comunità greco-cattolica; lui mi accolse e mi insegnò a fare il vescovo. Poi, rispetto all’Ucraina, al principio ha avuto un approccio legato a una certa visione per la quale quella parte del mondo era troppo collegata a ciò che faceva e voleva la Russia. Poi va detto che non ha mai smesso di invocare la pace e pregare per la gente dell’Ucraina, aveva una piccola icona che gli aveva donato, che ha sempre tenuto vicino a sé, fino alla fine, che rappresentava la fede del nostro popolo.
Può dirci cosa accadde quando il Papa disse al Patriarca Kirill di non comportarsi come il chierichetto di Putin?
Lì ci fu un momento di incomprensione totale, poiché il Patriarca di Mosca è praticamente una figura istituzionale dello stato, si pensi che fu reintrodotta da Stalin dopo essere stata abolita da Pietro il Grande e poi, per un breve periodo, fra la rivoluzione di febbraio del 1917 e quella d’ottobre dello stesso anno, la Chiesa ortodossa russa aveva riguadagnato la libertà, ma fu un periodo assai breve, quindi Lenin cancellò di nuovo la figura del patriarca che venne infine reintrodotta da Stalin.
In sostanza, per Mosca, essere il chierichetto di Putin era una cosa normale. Si pensò in un primo momento, per comprendere perché Kirill si era tanto offeso, a un errore di traduzione, che cioè al posto della parola chierichetto l’interprete aveva usato il termine «leccapiedi». Ma non si trattava di una confusione linguistica, di una traduzione cattiva o di ignoranza, l’ho spiegato al Papa, si trattava di uno scontro di due modelli di relazione fra la Chiesa e lo stato ma era anche lo scontro fra due identità, fra il Patriarca e il Papa.
Da lì in poi i rapporti tra la Chiesa ortodossa russa e la Santa Sede sono precipitati…
Direi che da quel momento i rapporti si sono congelati non posso dire che si siano fermati, o interrotti, perché sappiamo che il modello del dialogo ecumenico fra la Chiesa cattolica e il mondo ortodosso è regolato dalla Commissione teologica mista cattolico-ortodossa che è composta da entrambe le componenti di cui fanno parte anche rappresentanti delle varie Chiese ortodosse autocefale.
La parte cattolica viene sempre presieduta dal prefetto del Dicastero per la promozione dell’ Unità dei Cristiani, in questo momento dalla S. Em. il Card. Kurt Koch. L’altra parte era sempre stata presieduta dal rappresentante del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli. Ma da quando Mosca ha dichiarato la rottura della comunione con il Patriarcato Ecumenico, hanno fatto sapere che non parteciperanno a nessun incontro, a nessuna riunione presieduta da loro.
Che ruolo ha giocato il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli nel conflitto?
Io penso che se parliamo di un ruolo del Patriarcato ecumenico, è stato molto simile al ruolo del Papa di Roma, nel senso di un «portavoce» che difende La vita del popolo innocente. Un padre che difende i propri figli, che condanna l’aggressore e fa appello a tutto il mondo affinché sia protetto l’innocente.
Cioè il ruolo del Patriarcato ecumenico, ovviamente all’interno della comunione delle Chiese ortodosse, è molto simile in questo senso, perciò irrita spesso Mosca perché i russi pensano che abbia l’aspirazione di diventare il papa dell’Oriente; certo queste sono accuse che sono state lanciate perché è un leader (Bartolomeo, ndr) che ha questa sollecitudine per le altre Chiese ortodosse autocefale. Direi inoltre che l’Ucraina è stata un catalizzatore che ha rivelato tanti problemi che preesistevano a questo conflitto, ma mai erano stati affrontati.
Anche di conflitti di vari tipo…
Sì, penso che ha rivelato questi conflitti ma si tratta di un catalizzatore nel senso positivo: cioè il Patriarca di Costantinopoli si è mosso sempre di più per difendere la verità, per difendere la vita dell’innocente, per esercitare il suo ministero pastorale.
Che cosa pensa della missione del cardinale Matteo Zuppi, ha avuto qualche effetto? È stata un’esperienza positiva?
E stato un tentativo di Papa Francesco di fronte a questa guerra di aiutare in modo concreto. Un tentativo di una certa diplomazia parallela attraverso un inviato speciale che è venuto in Ucraina ma è andato puro in Russia, negli Stati Uniti e in Cina.
Sono grato a S. Em. che mi ha fatto diventare membro della sua équipe, cioè si confrontava con me e ha anche un po’ spinto le strutture diplomatiche della Santa Sede a Mosca e a Kyiv, a collaborare per individuare le liste dei bambini (il cardinale Zuppi era stato incaricato dal Papa di provare a mediare per farsi ripristinare i bambini rapiti dall’esercito russo dalle zone occupate, ndr). Ma non possiamo dire che la missione abbia avuto un grande esito, per due motivi. Il primo è che la Russia non voleva ammettere che vi fosse stata qualsiasi mediazione vaticana in materia.
Così, anche se rilasciavano un bambino lo consegnavano nelle mani dell’Oman, dell’Arabia Saudita, che facevano da mediatori del ritorno a casa di questo bambino; non volevano ammettere che grazie alla missione del Vaticano, qualcun altro è stato rilasciato. Secondo: il numero di questi bambini che sono tornati a casa è veramente piccolissimo.
Su un totale che si calcola in decine di migliaia, quelli che io conosco che sono stati restituiti ai loro genitori anche con mediazione di altri organismi internazionali o dei vari paesi, sono pochissimi, alcune decine di bambini. È sempre difficile poi calcolare chi ha fatto di più per questa liberazione, se la Chiesa cattolica o l’Arabia Saudita o un altro organismo e così via. Cioè siamo di fronte veramente a un fenomeno molto complesso per una ragione molto semplice: Russia non vuole ammettere che sta rubando dei bambini e nasconde i suoi crimini.
Fonte: Il Domani