S.B. Sviatoslav Shevchuk: nella strage di Sumy ho visto la solidarietà che vince la paura

S.B. Sviatoslav Shevchuk: nella strage di Sumy ho visto la solidarietà che vince la paura

15 aprile 2025, 19:45 8

Il capo della Chiesa greco-cattolica ucraina parla dell’attacco russo della Domenica delle Palme che ha fatto oltre 30 morti e più di 100 feriti: il giorno seguente tutti erano lì a lavorare, ad aiutare i feriti e quelli senza più casa. Siamo nella Settimana Santa e la nostra Via Crucis è «un cammino che dalla sofferenza va verso la Risurrezione»

«Se tu stai bene non hai bisogno di nessuna grazia, né da Dio né dagli uomini». Ma quando «vivi il dolore, la tragedia» e sperimenti «ogni giorno che non ti basti da solo, che hai bisogno della mano dell’altro, questo ti fa scoprire il senso del camminare insieme» e ti aiuta a resistere. Fede e forza d’animo, resilienza e speranza in Cristo che ha vinto la morte, anche quella che strazia il cuore dopo l’ennesima strage di civili: Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, arcivescovo maggiore di Kyiv, racconta ai media vaticani di una nuova Settimana Santa in tempo di guerra, cominciata con l’attacco russo sulla città di Sumy nella Domenica delle Palme, che ha ucciso 34 persone e ferite circa 120, tra cui una quindicina di bambini. Un altro colpo crudele che però, dice, non ha intaccato né il senso di umanità né le convinzioni più profonde dell’anima.

— Siamo nell’Anno Santo che ha per tema «Pellegrini della speranza». Anche la solennità della Risurrezione ci porta a pensare alla speranza. Come è cambiata la speranza della gente in Ucraina, e in particolare dei fedeli cattolici, in questi anni di guerra?

— Per noi oggi la speranza è davvero la fonte della nostra sopravvivenza, della capacità di resistere, andare avanti. Penso che la speranza in quanto tale non sia cambiata, perché sempre la nostra speranza è il Signore Gesù Cristo. Ci affidiamo non a qualcosa ma a qualcuno. E questa relazione con Gesù che ha sofferto per noi, che è morto e risorto, è la fonte della nostra speranza. Forse quello che cambia è il modo di percepire questa speranza e capire quanto sia importante non soltanto avere sentimenti di speranza — così come di solito si dice: «Speriamo che andrà tutto bene» — ma avere la speranza come virtù. Cioè come una forza infusa dallo Spirito Santo, una forza del Risorto che vive e pulsa dentro di noi. E devo dire che quanto aumenta il dolore, tanto aumenta anche questa percezione che la forza di Cristo risorto non è soltanto con noi, ma è in noi. La speranza è veramente una realtà che viviamo. Per questo siamo veramente molto grati al Papa Francesco che ha aperto le porte della speranza. Devo dire che molta gente viene in pellegrinaggio, soprattutto in questo periodo della Quaresima, alle nostre cattedrali, ai nostri santuari, proprio per far accrescere questa speranza. I pellegrini partecipano ai Sacramenti della Confessione e dell’Eucaristia, pregano per il Papa e per la sua salute e ricevono queste grazie che l’Anno Santo ci offre e il Santo Padre ci fa sperimentare non soltanto a Roma — perché molti peregrini vanno a Roma — ma anche qui da noi.

— In Ucraina molte persone soffrono per lutti, per traumi che colpiscono nel corpo e nell’anima. Appena domenica scorsa, durante la solennità della Palme, un attacco russo ha causato a Sumy una terribile strage. C’è il rischio che tutta questa sofferenza offuschi il senso della Risurrezione?

— Questa Settimana Santa, la Settimana della Passione del Signore, è purtroppo cominciata con una grande tragedia. A Sumy, mentre la gente pregava nelle chiese per la Domenica delle Palme e nella cattedrale ortodossa del Patriarcato di Mosca era in corso l’omelia, sono caduti due missili che hanno causato 34 morti, tra cui due bambini, e 119 feriti, inclusi 15 bambini. Ovviamente, ogni analisi di questo attentato, di questo massacro, mostra che l’intenzione era quella di colpire la popolazione civile. Il primo missile ha centrato proprio il centro città e poi — quando sapevano che soccorritori, vigili urbani, vigili del fuoco e sanitari sarebbero subito arrivati per soccorrere i feriti — in quel momento è arrivato il secondo missile, un attacco ancora più micidiale perché dicono che questo missile sia esploso in aria per colpire le persone che si muovevano nel centro città. Una tragedia che veramente ha sconvolto tutti.

Abbiamo la sensazione che più si parli di pace per l’Ucraina, più ci si adoperi anche a livello internazionale per favorire il dialogo e cercare un accordo, più ci si accanisca con questi attacchi, perché davvero nelle ultime tre settimane sono aumentati di parecchio. Anche qui nella città di Kyiv ogni notte viviamo sotto i bombardamenti. Ciò non accadeva con questa intensità nei mesi precedenti. Si vede un’escalation, un accanimento molto molto forte.

E tuttavia dalla nostra gente questa sofferenza non è avvertita come un qualcosa di insormontabile, ma come un cammino. Sappiamo che stiamo sulla Via Crucis. Anche il dinamismo della Via Crucis non è stare fermi, ma camminare, un cammino che dalla sofferenza va verso la Risurrezione. E stiamo camminando insieme. Ho parlato con il nostro sacerdote che svolge il suo servizio a Sumy, padre Olexandr Dyadya, che è anche il direttore della nostra Caritas locale. Mi ha raccontato le cose straordinarie: dopo gli attacchi la gente non è scappata dalla città, ma collabora per soccorrere, per pulire le strade, anche per prepararsi alla Pasqua. Dopo l’attacco la gente non è impaurita, anzi è più motivata a restare, resistere e aiutare a sistemare le conseguenze dell’attacco. È straordinario perché umanamente verrebbe da dire: «Fuggi da questo posto dove sembra regni solo la morte». Invece, no. Questo dimostra che la gente ha un diverso approccio a questa tragedia, l’approccio non degli impauriti ma di chi riesce a vincere la paura grazie alla fede in Dio.

Mi ha raccontato il nostro sacerdote che questi due missili sono caduti proprio a 200 metri dalla sede della Caritas, dove lavorano 50 persone. Il giorno seguente tutti erano lì, a lavorare, aiutare coloro che hanno perso la casa, che sono negli ospedali, che hanno grande necessità di sostegno. Quello che ci preoccupa di più sono i bambini. Colgo l’occasione per ringraziare la Caritas italiana, che si è offerta di prendere venti bambini dalla città di Sumy e offrire loro la possibilità di partecipare ai campi estivi in Italia. In ogni caso, come mi ha detto il sacerdote, sono centinaia i bambini che avrebbero bisogno di vivere due-tre settimane in parti del mondo più tranquille, un periodo che li aiuti a livello psicologico e spirituale. Dunque, anche dopo questa tragedia la gente non è disperata: sta manifestando la propria umanità, la fede cristiana, la solidarietà, quella che vince la paura.

— In queste circostanze così dure, come riesce la Chiesa ucraina a celebrare l’Anno Santo assieme alla Chiesa universale?

— Paragonandolo agli altri Anni Santi vissuti in passato, questo Giubileo è certamente particolare perché la gente ne riscopre sempre di più il senso di grazia. Perché se tu stai bene, hai l’illusione di non aver bisogno di nessuna grazia, né da Dio né dagli uomini. Ma quando vivi il dolore, la tragedia — quando scopri i tuoi limiti umani e sperimenti ogni giorno che non ti basti da solo, che hai bisogno della mano dell’altro — allora questo ti fa scoprire il senso del pellegrinaggio, il senso del camminare insieme. Ti fa scoprire anche lo spazio dello scambio dei doni che c’è non soltanto all’interno della Chiesa in pellegrinaggio sulla terra, ma anche quello fra la Chiesa celeste e la Chiesa terrestre. In questo anno giubilare riscopriamo quello che sempre abbiamo professato nella fede, la comunione dei santi. È proprio questa comunione dei santi, dello stare insieme come Chiesa, lo spazio dove il Risorto è presente, Lui che è la fonte della nostra speranza e la forza per vivere il pellegrinaggio terreno, ma anche lo spazio dello scambio dei doni fra il cielo e la terra. Questo ci rende sempre più resilienti, ci aiuta a resistere.

Camminando insieme impariamo veramente a essere empatici, quindi non a interessarci solo del nostro percorso, ma a entrare un po’ anche nella situazione dell’altro. È questa la solidarietà che salva realmente le vite umane in maniera molto concreta. Perciò colgo questa occasione per ringraziare tutti coloro che camminano assieme a noi. Perché l’Anno Santo non lo vive soltanto l’Ucraina, ma tutta la Chiesa universale e noi sentiamo molto questa solidarietà della Chiesa cattolica, che adesso per noi in Ucraina è fonte della nostra capacità di poter servire. Ognuno condivide tutto quello che ha: l’Ucraina condivide con il mondo la sua speranza, il suo spirito, anche in un contesto di guerra. E vediamo come questo risuona nei cuori dei milioni di cattolici in tutto il mondo. E allora vi ringraziamo per essere con noi, per camminare assieme a noi.

— Questi tre anni di guerra hanno cambiato in qualche modo la percezione che lei ha della sua missione come Capo della Chiesa greco-cattolica ucraina?

— Devo dire di sì, forse anche in modo molto radicale. Perché la Chiesa bizantina, nella sua spiritualità e nella liturgia, è la Chiesa che in ogni celebrazione festeggia la gioia della Pasqua. Siamo una Chiesa della cultura pasquale. Ma stiamo riscoprendo che il mistero pasquale non è solo festa, non è solo la gioia o una solennità. Include anche il mistero della sofferenza e il mistero della morte — misteri che la cultura odierna cerca forse di dimenticare, di fuggire o anche desacralizzare.

Spesso la sofferenza e la morte nel mondo odierno diventano uno spettacolo e noi, che siamo tentati di vivere una parte della nostra vita dentro il «continente digitale», rischiamo di perdere la percezione della sofferenza e della morte. Ma durante la guerra, quando il pericolo imminente di morte tocca la tua vita quotidiana, abbiamo imparato a contemplare la presenza di Dio nella sofferenza umana e in Lui stiamo scoprendo il senso cristiano anche del mistero della morte. Perché la morte è una situazione assurda: la nostra natura umana si ribella alla morte, siamo stati creati per la vita. Ma proprio in questo dramma della sofferenza stiamo riscoprendo la presenza di Cristo sofferente e anche nel mistero della morte stiamo contemplando Gesù crocifisso, Lui che è morto sulla croce per prendere su di sé la nostra morte e ridarci la sua vita.

Sant’Agostino dice su questo parole molto profonde: «Fece sua la nostra morte e nostra la sua vita». È qualcosa di molto profondo che però devi riscoprirlo, non studiando un bell’articolo o leggendo un bel libro, ma sperimentando quella realtà sulla tua carne, la carne della tua gente, nella vita della tua Chiesa. E adesso noi stiamo accompagnando tante persone che soffrono, stiamo celebrando tanti funerali, ogni giorno dobbiamo far fronte a questa realtà della morte, che sembra voler regnare in mezzo a noi. Ma in questo regno della morte che l’aggressore russo sta diffondendo in Ucraina, noi stiamo predicando il Cristo risorto e questo cambia totalmente la nostra percezione sia della liturgia stessa, sia del mistero pasquale. Questo incide sul nostro lavoro pastorale, sul modo di accompagnare le persone e aiutarle a sperare sul fatto che questa sofferenza non è un punto di arrivo ma di partenza. Non è un punto insormontabile che fa disperare, ma è una porta attraverso la quale andare avanti verso la Pasqua del Signore.

— Vorrebbe aggiungere qualcosa?

— Vorrei cogliere questa occasione per condividere gli auguri pasquali con tutti i nostri ascoltatori e lettori. Voglio che sappiate che anche in Ucraina Cristo risorge, che l’Ucraina vive. Siamo un popolo in cammino verso la Pasqua definitiva di Cristo. In occasione della più grande festa cristiana, che ci fa tornare alla fonte della nostra fede, vi auguriamo una Santa Pasqua del Signore. Vi auguriamo questa gioia che supera anche le nostre lacrime. Il Cristo che risorge è il nostro guaritore, guarisce le nostre ferite e vince la morte. Nel periodo pasquale salutiamoci dicendo: «Cristo è risorto!» e rispondiamo: «È veramente risorto!».

Fonte: Vatican News

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